deserto del Sahara

Quando si pensa ad un deserto è difficile associarlo alla “vita”.

Le condizioni ambientali estreme lo rendono un luogo adatto a pochissime specie animali e vegetali “specializzate” ed un ambiente ostile anche all’essere umano.

Eppure questi luoghi desolati contribuiscono in maniera essenziale a condizionare e addirittura a consentire la vita sul nostro pianeta. La cosa più inaspettata è che ciò avviene anche a decine di migliaia di km di distanza da questi luoghi.

ORIGINI DEL DESERTO PIU’ GRANDE DELLA TERRA

mappa Sahara desert

In queste righe parleremo in particolare del deserto del Sahara (termine che in arabo significa “vuoto”), per estensione il più grande sulla Terra che occupa una superficie di 9,2 milioni di km2, quasi quanto l’Europa.

L’area del Sahara, circa 14.800 anni fa, era una immensa prateria ricca di laghi, grazie agli intensi monsoni. Analisi dei sedimenti marini raccolti sul confine occidentale di questo deserto sembrano indicare che il Sahara si desertificò abbastanza improvvisamente circa 5500 anni fa.

Un recente studio di team internazionale di scienziati condotti dal dott. Stefan Kröpelin dell’Università di Colonia in Germania, ha analizzato i sedimenti del lago Yoa, nel Ciad settentrionale. Questo lago, alimentato da una falda acquifera sotterranea non si è mai prosciugato e nel corso degli ultimi 6000 anni, ogni anno, si è depositato un nuovo strato di sedimento sul fondo.

Studiando la composizione dei sedimenti, comprendente resti di piante e animali, gli scienziati sono stati in grado di ricostruire l’evoluzione dei cambiamenti avvenuti nel Sahara nel corso degli ultimi 6000 anni.

I risultati portano alla conclusione che il processo di desertificazione dell’area fu graduale e avvenne principalmente tra 5600 e 2700 anni fa, seguendo il graduale indebolimento dell’intensità dei monsoni e la conseguente diminuzione delle precipitazioni piovose. Le piante e gli alberi vennero rimpiazzati dalla vegetazione tipica del Sahel, prevalentemente arbustiva. Per ultimo sparì il manto erboso e cominciarono a svilupparsi piante specializzate alle condizioni offerte da un deserto.

Inoltre, gli scienziati evidenziano come le informazioni sulla velocità con cui questi cambiamenti si sono verificati siano determinanti per capire l’interazione tra i sistemi climatici tropicali e sub-tropicali.

L’INFLUENZA DEL DESERTO SUL PIANETA

Il Sahara fornisce all’atmosfera della Terra oltre il 50% delle polveri presenti in essa: a seconda delle stagioni e dei venti queste viaggiano in diverse direzioni influenzando il clima, contribuendo alla fusione dei ghiacciai, peggiorando la qualità dell’aria (trattandosi di polveri sottili) e, sorprendentemente, portando vita e prosperità dove, per caratteristiche naturali dei luoghi, non ci sarebbero le condizioni.

Come spiega il biologo e ricercatore Stefano Guerzoni, Presidente Fondazione IMC (https://www.fondazioneimc.it/ ): “alcune regioni particolari della Terra, come il Sahel e alcuni tratti desertici di Tunisia e Libia, fungono da “sorgente” delle grandi tempeste di polvere. La sabbia che parte dal Sahara, circa 200 milioni di tonnellate in media all’anno, si dirige verso l’Atlantico (170 milioni di tonnellate) e arriva fino ai Caraibi (5 milioni), oppure attraversa il Mediterraneo (25 milioni)». I percorsi delle tempeste che partono dall’Africa meridionale, in particolare dalla Namibia, o dall’Australia, sono più brevi e si esauriscono negli oceani.

Le polveri che raggiungono le correnti atmosferiche provengono principalmente dalle zone pianeggianti, come la depressione di Bodèlè.  Qui si accumulano infatti le polveri sottili, quelle che riescono a raggiungere gli strati alti dell’atmosfera, circa 700.000 tonnellate ogni giorno.

Grazie alla presenza in passato di un grande lago presente in questa zona, il Mega Ciad, che copriva circa 400.000 km quadrati di superficie e che costituisce lo 0,2% della superfice dell’attuale deserto, è presente una enorme quantità di “farina fossile”, composta principalmente da alghe unicellulari e costituente la parte più sottile e leggera della sabbia di diatomite, chiamata così proprio perchè composta principalmente da diatomee; La formazione di questa sabbia è il risultato dell’erosione delle rocce sedimentarie stratificate costituite dai fondali dell’antico lago.

Lake Mega Chad fonte NASA
Fonte: Nasa

Il processo di desertificazione di questa area è databile a partire da circa 5000 anni fa, portando prima alla suddivisione in 3 laghi. Oggi solo i bacini di Ciad e Fitri sono ancora esistenti, mentre il Bodélé si è completamente prosciugato.

La depressione Bodélé  è delimitata dai monti Ennedi e Tibesti che incanalano i venti che provengono da Libia ed Egitto  nel cd “tunnel di Borkou”, provocando un’accelerazione della velocità degli stessi (effetto Venturi) che favorisce l’erosione. Le tempeste di sabbia interessano questa regione in media 100 giorni l’anno.

il vento si incanala tra i monti, fonte NASA
   
ll vento si incanala tra i monti. Fonte: Nasa

IL DESERTO E IL MARE

Quello che si solleva dai deserti non è solo quarzo: nelle polveri si trovano infatti diversi minerali, ma anche qualsiasi altra cosa abbastanza leggera da essere sollevata nell’atmosfera. Durante il loro percorso, grazie al vento che agisce sulla superficie del mare, si alzano goccioline d’acqua e particelle di sale, che vanno ad unirsi alle polveri. Le particelle più grandi ricadono dopo alcuni chilometri;

Alcune zone di mare sono molto povere di nutrienti, in particolare di ferro, e questo inibisce la proliferazione di organismi marini, come le alghe microscopiche. Il ferro è invece contenuto in abbondanza nella sabbia”; ne costituisce circa il 5/6 % da rilevazioni effettuate, composto principalmente da ossidi di ferro come l’ematite (Fe₂O₃) e la magnetite (Fe₃O₄).

Uno studio pubblicato su Nature nel 2014 ha stimato che oltre il 70% del ferro che nutre gli oceani proviene dalla polvere del Sahara

Quando queste polveri si depositano sulla superficie del mare, favoriscono “fioriture algali” che coprono centinaia di chilometri quadrati di oceano. In particolare questa circostanza è stata dimostrata sia per il Mar dei Caraibi che per l’oceano Pacifico settentrionale (in questo ultimo caso contribuisce sostanzialmente il deserto del Gobi, in Asia),

In particolare, in seguito a questo fenomeno, risultano favoriti organismi come cianobatteri o alghe microscopiche, principalmente diatomee, sempre loro, in grado di effettuare la fotosintesi e quindi assorbire moltissima anidride carbonica, contribuendo al contrasto dell’effetto serra sul pianeta.

Sempre il su citato  Guerzoni spiega come addirittura “Approfittando di questo fenomeno ci sono stati parecchi tentativi di fertilizzare l’oceano con grandi quantità di ferro”.

L’analisi dei risultati e delle possibili conseguenze, sono oggetto di controversia tra gli studiosi, ma in un esperimento del 1999 denominato Soiree (Southern Ocean Iron RElease Experiment), l’esplosione di alghe risultò visibile anche dallo spazio.

Andy Ridgwell, della Facoltà di scienza ambientali dell’Università dell’East Anglia, a Norwich,in Gran Bretagnase, fa notare come “ se la lotta contro la desertificazione (con la trasformazione del deserto in terreno agricolo) proseguisse e avesse in futuro un grosso successo, questo potrebbe provocare una diminuzione dell’emissione di sabbia, e quindi un abbassamento della fertilizzazione degli oceani”.

Meno fertilizzazione significa però che le alghe assorbono meno anidride carbonica. Combattere la desertificazione, secondo Ridgwell, potrebbe portare ad un aumento del riscaldamento globale del pianeta, anche se ricerche ufficiali in tal senso non sono ancora state effettuate.

fonte NASA
 Fonte: Nasa

IL DESERTO E LE FORESTE

Così come il ferro favorisce la proliferazione del fitoplancton in mare, il fosforo e altri composti portano vita nelle foreste: le sabbie partite dal Sahara oppure dal Sahel arrivano fino alla giungla sudamericana. La sabbia dei deserti asiatici arriva fino alle isole Hawaii e riesce a fertilizzarne la foresta tropicale, che di suo possiede un suolo molto povero di minerali.

Alcuni studi in corso, pongono l’attenzione della comunità scientifica proprio sul ruolo di concime che le polveri sahariane svolgerebbe nel contesto della foresta pluviale dell’Amazzonia, luogo in cui regna la biodiversità nonostante, come detto, il suolo sia poverissimo di sostanze nutritive: Si ritiene che la mancanza di nutrienti sia compensata anche da ciò che arriva da lontano.

Almeno per una parte dell’Amazzonia questo nutrimento arriverebbe proprio dalle polveri sahariane: nel 2015, utilizzando dati raccolti tra il 2007 e il 2013 dal satellite ambientale CALIPSO (Cloud-Aerosol Lidar and Infrared Pathfinder Satellite Observation), un gruppo di scienziati della NASA ha stimato che in media ogni anno 22mila tonnellate di fosforo proveniente dal Sahara arrivino nell’Amazzonia attraverso i venti Alisei che soffiano da Est verso Ovest.

La biodiversità e l’equilibrio ambientale della foresta pluviale amazzonica, sono quindi fortemente influenzati dal deserto del Sahara, una delle regioni più aride del pianeta, nonostante si trovino a più di 8000 km di distanza.

La foresta pluviale amazzonica è una vasta regione che si estende su oltre 6,5 milioni km2 all’interno del bacino idrografico dell’amazzonia, che copre Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana francese, Perù, Suriname e Venezuela. È una delle aree geografiche con maggiore biodiversità al mondo, ospitando oltre 14.000 specie di piante

La maggior parte del suolo della foresta pluviale amazzonica oltre ad essere acido e poco fertile, in particolare è carente di fosforo, elemento fondamentale per tutte le piante; il suo ciclo naturale prevede che le piante assorbano il fosforo dai fosfati presenti nel suolo e che gli animali lo assorbano mangiando le piante. I processi di decomposizione che avvengono alla morte di questi ultimi riportano il fosforo al suolo.

Ma nelle foreste amazzoniche questo ciclo è fortemente alterato dalle frequenti ed intense precipitazioni che attraverso i corsi d’acqua, portano via il fosforo dal suolo.

La foresta pluviale riceve quindi dal deserto del Sahara, attraverso il trasporto di polveri, anche e soprattutto questo prezioso elemento.

Nello stesso studio gli scienziati della NASA hanno determinato il percorso che compiono le polveri del Sahara attraverso l’Oceano Atlantico.

https://svs.gsfc.nasa.gov/4273

I dati raccolti suggeriscono che quando le precipitazioni nel Sahel aumentavano, l’anno successivo si osservava un minore trasporto di sedimenti attraverso l’Oceano Atlantico.

"fertilizzazione" dell'Amazzonia. Fonte NASA
   
“Fertilizzazione” dell’Amazzonia, Fonte: Nasa

IL DESERTO E IL CLIMA

Anche la pioggia è influenzata in maniera importante dalle particelle di sabbia ricche di ferro che, grazie ai composti di zolfo presenti nell’atmosfera, fungono da “nuclei di condensazione”, intorno ai quali si raccolgono le molecole d’acqua che formano le nubi. Alla loro formazione contribuisce altresì un gas prodotto dalle alghe del fitoplancton, il Dms. Quello stesso fitoplancton che si sviluppa in abbondanza quando il mare è fertilizzato dalle polveri del deserto.

In particolare, ad essere influenzate sono la formazione di tempeste tropicali e di uragani nell’Atlantico.

Tra la fine della primavera e l’inizio dell’autunno le polveri raggiungono le coste americane attraverso il cd “strato d’aria sahariana”, una massa d’aria calda e secca periodicamente sospinta dal Sahara verso ovest. Anche se non è ancora noto alla scienza il meccanismo esatto, è evidente l’influenza di questo fenomeno sul clima dell’Atlantico e delle aree geografiche limitrofe.

Gli studiosi ritengono che la temperatura alta dello strato d’aria sahariana e la sua bassa umidità, “allontanando” masse d’aria umida potrebbero influire sullo sviluppo delle tempeste limitandone sviluppo ed intensità.

Le enormi colonne di polvere del deserto del Sahara che si spostano attraverso l’Atlantico possono quindi impedire la formazione di uragani sull’oceano. Ma lo stesso fenomeno può anche causare piogge più intense, e potenzialmente più distruzione e influenzare in generale le condizioni meteorologiche nel Nord America secondo uno studio del 24 luglio pubblicato su Science Advances.

https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.adn6106

Durante la stagione primaverile i venti portano la polvere sahariana verso il continente europeo, provocando offuscamento dei cieli, un peggioramento della qualità dell’aria e contribuendo alla fusione dei ghiacciai delle Alpi e dei Pirenei.

La polvere sahariana favorisce i processi di fusione delle nevi e dei ghiacci delle principali catene montuose europee riducendo l’albedo, cioè la quantità di radiazione solare riflessa nell’atmosfera provocando l’assorbimento in maggiore quantità  da parte di neve e ghiaccio, che di conseguenza si sciolgono.

Una ricerca del 2019, pubblicata sulla rivista The Cryosphere e realizzata da un gruppo di ricerca internazionale, le polveri sahariane riducono il periodo dell’anno in cui le Alpi sono coperte da nevi e per questo possono avere degli effetti sugli equilibri idrogeologici della regione e, tra le altre cose, rendere il Nord Italia più vulnerabile alle siccità estive.

DESERTO E SALUTE

Tra le conseguenze delle polveri provenienti dal Sahara c’è anche l’abbassamento della qualità dell’aria quando queste raggiungono bassa quota nell’atmosfera.

Uno studio pubblicato su Nature Sustainability ha rivelato che nelle regioni africane sottovento, l’elevata concentrazione di polvere nell’aria è collegata a tassi di mortalità infantile più elevati

air quality index, particular matter, aerosol optical depth

Ad essere fortemente penalizzati sono anche i paesi del Mediterraneo meridionale come la Spagna e l’Italia. 

CAMS Regional Ensemble Forecast daily max pm10_conc at 0m

Un gruppo di ricerca spagnolo ha pubblicato sulla rivista Science of The Total Environment uno studio secondo cui tra il 1940 e il 2021 la frequenza degli eventi atmosferici che portano polveri sahariane in Spagna è aumentata. Si ipotizza che tale aumento, particolarmente osservato negli ultimi anni, sia legato ad alcuni cambiamenti nella circolazione atmosferica avvenuti negli ultimi decenni.

In altre regioni particolarmente soggette alle polveri sahariane, come le isole Canarie, che si trovano nell’Atlantico al largo dell’Africa nord-occidentale, vengono diffuse allerte meteorologiche apposite per segnalare la loro presenza e le persone sono invitate dalle autorità a stare il più possibile al chiuso. Alle Canarie i venti che trasportano le polveri sono chiamati “calima”.

Si è a lungo pensato che nessun organismo avrebbe potuto resistere a un “viaggio” nell’alta atmosfera, perché i raggi ultravioletti sono in grado di uccidere qualsiasi batterio. Ma l’analisi di polveri trasportate dal vento su distanze contenute, hanno invece svelato che contengono batteri, funghi e virus in grado di colpire esseri umani, animali e colture.

Numerosi studi sono stati condotti per collegare la morte di ampie aree coralline nei Caraibi alla polvere del Sahara e del Sahel. E almeno due malattie dei coralli, l’aspergillosi e la morte bianca del corallo, hanno come causa funghi e batteri che provengono dall’altra parte dell’oceano.

Fonti

https://emmeciquadro.euresis.org/mc2/84/mc2-84_porrino_desertificazione-pianeta.pdf

https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.adn6106

https://cordis.europa.eu/article/id/29428-sahara-dried-out-gradually-not-abruptly-study-shows/it

https://openknowledge.worldbank.org/entities/publication/8e2a4b0b-06ce-4ba7-837d-05e5a1215d18

https://www.science.org/stoken/author-tokens/ST-1187/full

https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abe6102

https://www.nature.com/articles/s41893-020-0562-1

https://www.geopop.it

https://www.focus.it

https://www.rainews.it

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